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viii a emilio treves


Ma poi la sua innata serenità riprese il sopravvento, dicendo: “Torniamo ancora a lavorare„.

Ebbene, torniamo ancora a lavorare, signor Emilio. Ora la sua Casa continua a lavorare, io continuo a lavorare, come ne è prova questo volume. Il quale mi piace intitolare al suo nome, sciogliendo così un vecchio obbligo di riconoscenza; non per le percentuali, ma, sinceramente, perchè devo a lei e ai suoi conforti se io fra tanti silenzi e commiati, e per tanti anni, ebbi fede in questo genere di lavoro che si fa con la penna e con l’inchiostro. Nel qual genere di lavoro a me sembra che sia venuta l’ora di sostituire alla gran toilette orchestrale della nostra prosa un po’ di semplicità che riveli come siam fatti, anche a costo di spiacere alle dame. Perciò signor Emilio, non me ne sappia male se in queste tormentate novelle troverà qualche nudità, qualche traccia di quella filosofia che si chiama humour o amarezza di riso, dicendo lei che il pubblico non ne capisce, o non ne vuol sapere. Lei ha ragione come editore; ma non le pare, signor Emilio, che il nostro allegro ottimismo ad ogni costo sia una forma di inerzia mentale? non crede lei, signor Emilio, che convenga mutar rotta?

Roma, li 25 novembre 1917.

Alfredo Panzini.