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18 | chi sarà lo sposo? |
se voi guardate bene d’attorno, anche di estate, non adopera molto il colore rosso ne’ suoi paesaggi. Io non ne ho fatto mai uso: ma sono anche vissuto sempre solo, e non ho avuto altro in mente che il carbone.
Così dicendo il vecchio gettò ai piedi di Fortunio un lungo e lucido stocco, che quegli raccolse ringraziando e si allontanò.
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Si allontanò e giunse al fine della selva. Davanti già saliva il sole che disegnava di luce le grandi piante; dalle quali molte schiere di varî uccelli si levavano cantando contro il sole. Anche vi era un gran fiume dalle acque verdi che portava le creste delle sue onde con veloce corrente. Ma quale non fu la meraviglia di Fortunio quando scorse di là dal fiume, su di un poggio, il castello della Regina, il quale ricamava il cielo con le sue torri!
Allora parve a Fortunio che il fiume, il sole, gli uccelli, l’aria e la luce mattutina si movessero al ritmo occulto di una musica onnipotente e gaudiosa; e uguale quel ritmo era a quello del suo cuore.
Guardò la riva: non nave, non ponte. L’acqua, limpidissima e verde, non lasciava vedere il fondo.
Perciò Fortunio si spogliò de’ suoi abiti, ne fece un fardello che assicurò con lo stocco e si gettò nell’acqua. In verità ben valeva arrischiare la vita! La sua vita era una pagina bianca, dove niente era scritto: poteva essere senza danno distrutta.
A pena quando su di essa si scrivono nobili parole merita la cura di essere conservata alquanto: questa vita che noi non arrischiamo per vile paura, e spesso un fato assai bizzarro ci costringe a perdere per la causa medesima per cui sì la risparmiamo.