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pietro panzeri | il |
E invece ci fu la sconfìtta grande e non davvero gloriosa. Giuseppe Mazzini in sull’aprirsi della campagna del ’66, dettò alcune pagine raggianti di lume profetico che gli italiani fanno benissimo a non ricordare. È tutto mal di testa risparmiato. Però — obbietterà alcuno — se le armi mancarono, la diplomazia fece meraviglie. Troppo giusto. Il Veneto, che ancora era sotto la soggezione austriaca, fu per Napoleone ricongiunto alla patria italiana. Però quel passaggio improvviso dalla ridente primavera al triste autunno, tutto quel grande e concorde vino dell’entusiasmo commutato in breve tempo in aceto e in veleno, non rimase senza effetto nel tempo di poi. Filtrò nelle vene della nazione che già altri germi malsani possedeva: il male apparve ad intervalli con espulsioni di carattere maligno, più tardi, e a varie riprese. Nè anche oggi si può dire compiuta la cura depurativa del sangue malsano.
Chiedo venia della disgressione.
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Pietro Panzeri, giovanetto, si arruolò sotto le bandiere garibaldine; e, più precisamente, prese parte alle operazioni di guerra compiute dalla legione di guardia nazionale mobile, la quale fu ideata e organata dopo molte difficoltà, titubanze e incer-