Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/62

xlviii pietro panzeri


il suo spirito entusiasta d’ogni alto ideale lo spinse ad arruolarsi soldato volontario, e questo tempo della sua vita rimase tanto impresso nella sua mente e nel suo cuore, che lo ricordava e se ne compiaceva spesso.

E la cosa, che può meravigliare la nostra indifferenza odierna in materia di eroismi, di patria, di guerra — guerre sante o guerre infami — la cosa, dico, si spiega perfettamente.

A diciasette anni, nella primavera della vita, nel principiar dell’estate del 1866, in quella meravigliosa primavera della patria, l’avere affrontato l’ignoto, la lotta, la morte per un’idea che accendeva tutti i cuori, deve essere stata una cosa sublime per purità. E comunque andarono poi le cose, è naturale che l’animo si rifugiasse con compiacimento nella memoria di quei giorni di fede e di azione, come in un’oasi.

Fu il 1866 forse l’epoca più bella del nostro risorgimento. Mai tanta speranza aveva cantato nei giovani cuori! Mai sul mortificato e aduggiato, da servitù molte e gravi, giardino d’Italia era sorta così bella fiorita di giovanezza, spirante ardore di sante battaglie! Mai tante bandiere dai bei nostri colori, quasi riflesso del mare, del verde e delle fiamme del sole, avevano ondeggiato al mite favonio del Maggio! Dopo il cinquantanove e dopo la gran gesta Garibaldina del sessanta, non c’era solo il martirio glorioso davanti agli occhi, ma era lecito sperare la vittoria sicura e grande.