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xxiv l'istituto dei rachitici


Erano stranamente grandi e neri in quel viso dove, sotto l’epidermide diafana, le piccole vene azzurre portavano ancora il loro contributo di vita. Sorrideva a noi senza parlare e con infinito amore accarezzava la sua grande bambola.

— Le vuoi molto bene alla tua bambola?

Accennò gravemente di sì e le gote le si tinsero in rosa, come un raggio di sole che in una giornata fosca appare per un istante, e si cela.

— Sta benino, è vero, la piccina? — chiesi alla signora che mi accompagnava.

— È invece gravemente ammalata — rispose la signora. — Si tratta di una tubercolosi delle ossa. Abbiamo fatto il possibile per veder di curarla. Finora tutto inutile!

Passammo ad altra stanza, quella grande ove stanno i bambini convalescenti.

Quivi tutto attorno alle pareti sono disposte delle sediuole a sdraio. Vi riposano i piccoli infermi. Occhi vivi, volti ridenti. Giuocano o fanno piccoli lavori. Hanno tutti un grembiulino di cotonina rosa.

— Buon giorno! — augurano lietamente in coro ai visitatori.

— Buon giorno, piccini!

Ma se il volto sorride, se gli occhi scintillano, v’è qualcosa che parla molto eloquentemente per