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il sogno del natale 255

Vi ricordate, figliuola, per quanto tempo noi ci siamo offesi scambievolmente? Eppure eravamo convinti di ragionare; e non ci accorgevamo che il tempo passava. In altre parole, dei due doni che il Signore ha dato agli uomini a preferenza degli altri animali, la parola e il sorriso, consideriamo il primo come un beneficio da usufruire con grande cautela e invece godiamo senza risparmio del secondo: io voglio dire del sorriso. Sorridete, bella figlia, nella gioventù vostra a noi poveri vecchi: le nostre povere labbra si sono con gli anni curvate in giù, e le rughe crudeli le tengono ferme e impediscono di sorridere. Ma, voi, cara, su cui splende il sole dei trent’anni tuttavia, oh, ridete! fate risuonare queste stanze di risa, e quando la buona primavera richiamerà alla vita i fiori sepolti della valle, cantate le vostre canzoni migliori. Nasceranno figli più floridi e meno pensosi.

Cosi concluse il vecchio che avea consumato il suo tempo a cercare la Causa causante, e trasse su di sè la bella e dolente donna cui il marito reggeva la mano, e le diceva: «Sorridi!» ed ella sorrideva fra le lagrime.

Disse allora l’ava: — Ecco il gatto nero con la coda riccia che entra: esso ci annuncia con la sua solita maestà che i nostri cuochi e i nostri servi hanno allestita la cena del Natale. Venite a vedere come risplende la nostra cucina. Faremo così ogni giorno da ora innanzi: è vero? — E poi si volse al nipotino che se ne stava tutto pallido davanti al fuoco e disse:

— E voi, caro piccino, che con le vostre bizze guastavate quell’ora di riposo che si dovrebbe godere a tavola, la mangerete tutta la minestra questa notte di Natale, senza sporcar la tovaglia, senza rovesciare il vino?

— Oh, mia bella nonna, io mangerò così bene e starò così zitto come se non ci fossi nè meno.