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222 divagazioni in bicicletta

che leggendo volumi di storia. È l’arte, è la politica, sono le armi, l’avvenire, il passato, il genio d’oriente e d’occidente che si sono incontrati sulla nostra terra in quel tempo felice, e si sono fusi al sole d’Italia? Io non so, ma è un sogno mirabile che sorge nell’anima da quella materia che parla tuttavia.

Parla e dice che quivi suonò il verso del Bembo, quivi la adamantina e pur non accademica ma popolare prosa di Baldassar Castiglione, qui cavalieri e dame illustri rallegrava l’arguto ed elegante parlare del Da Bibbiena. Qui forse Giulio II udì novella del giovanetto Santi, e gentili uomini e poeti, e savi quali Federigo Fregoso, Bernardo Accolti, Ludovico da Canossa, Giuliano de’ Medici, Ottaviano Fregoso, l’Ariosto si diedero convegno.

Quivi ogni cosa reca le tracce di una splendidezza e di un buon gusto senza pari. Negli intarsi; ad esempio, che coprono tutte le pareti dello studio di Federigo, è figurato il magnifico signore in corazza e gambali e attorno sono scolpiti i volumi degli antichi savi: Livio, Cicerone, Omero: sembra un simbolo ed una spiegazione storica. Dall’alto dei torrioni superbi quasi cento metri e che si inabissavano fra densi boschi, la cerchia appenninica fa degno contorno. Ecco il Catria, il Nirone, il Furio, il Carpegna e presso i boschi a i campi: non terre isolate allora, ma congiunte per simpatia di spirito col grande mondo e colla storia.

Ma oggi la corrente della vita si è allontanata e segue altra via. Quelle città medioevali, turrite, e ad arte costrutte in su le cime dei poggi o dei monti, guardano con sentimento d’invidia le città poste al piano, un tempo disprezzate e neglette, ma presso cui oggi corre la vaporiera, fannosi impianti elettrici e la civiltà del secolo XX eleva le torri de’ suoi nuovi castelli: i camini degli opifici.