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divagazioni in bicicletta 221


La mia bicicletta mise lo scompiglio. — Ih, come l’è brutt! — disse l’una forte; e questo era diretto a me, ma credo il giudizio per lo meno avventato e senza tener conto della polvere che mi bruttava.

Non era un complimento ospitale da parte delle pronipoti di Raffaello; ma non si creda che esso abbia influito sinistramente sul mio giudizio intorno ad Urbino, quando io dirò che il pranzo, all’unico albergo, fu pessimo e caro, che l’albergatore non mi venne incontro, nè mi salutò alla partenza; che dovetti da un panino, in un caffè, allontanare uno sciame di mosche; ed altre miserevoli cose della vita, inutili a ricordare.

Non volli andare a letto senza prima aver visto il palazzo de’ Montefeltro. Era circa mezzanotte: poche lampade ad olio, sostenute da lunghi bracci come forche, spandevano una luce da medio evo nel deserto delle vie salienti e discendenti: ma giunti al confine della città la gran mole mi si disegnò nel fondo del cielo, quadrata, solenne, animata.

La notte passò benissimo, senza sogni, toltane una serie di legioni con le aquile d’oro che muovevano compatte attraverso le gole del Furio e non finivano mai di passare. Evidentemente erano quelle di Livio Salinatore e di Claudio Nerone contro Asdrubale cartaginese!

La rividi al mattino la gran mole, un mattino ridente e puro.

Il palazzo ducale, fondato e ideato dall’istesso Federigo da Montefeltro, col concorso di insigni artefici, nell’anno 1465, è un libro di marmo. Ci hanno lavorato i coboldi in compagnia de’ giganti, tanto ogni cosa è finita insieme e grandiosa. Passando per quel sogno di sale si sente la visione del prodigioso nostro rinascimento più