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204 divagazioni in bicicletta

venture di contrabbando piacevolissime e d’altro genere di sapore boccaccesco, tanto più grate perchè avevamo finito una formidabile colazione di uova e prosciutto al Mulino del Ronco: mulino selvaggio in fondo al fiume. Alcune donne discinte, tre uomini torvi e sudici ascoltavano con me l’allegro narratore; sotto mormorava il filo d’acqua del Marecchia e i dossi dei monti si elevavano verdi nel sole.

Lasciai il mulino alle dieci e come mi si aprì un sentiero abbastanza ciclabile, montai in sella e allora le mie ruote ebbero definitiva vittoria sul terribile compasso del contrabbandiere; non lo vidi più.

Dopo due. ore di cammino, giunsi a te, Badia Tedalda, melanconica, erta sotto le roveri. Mezzogiorno sonava tra quel verde. Entrai in un’osteria per dissetarmi della lunga salita. Una fanciulla maremmana, bruna, gagliarda, linda, in una cucina bianca con molti lucidi rami, piatti e fiori, lini odorosi di lavanda, rimestava in un paiuolo la più aurea delle polente. E quando fu cotta e si staccava dal rame, la riversò su d’un tagliere, poi cominciò ad affettarla e sopra vi spargea un intingolo di funghi porcini o prunoli che mai profumo di cucina di re fu più squisito. Quindi levato un formaggio pecorino, bianco e grasso, cominciò a grattugiarlo e a cospargere la vivanda.

Certo la giovanetta era bellissima, la favella pura, le movenze avevano una grazia naturale piena di dignità, ma il profumo di quella polenta fumante e negra di funghi fu superiore ad ogni seduzione. Io cedetti tre volte privando del loro pasto que’ buoni montanari. E la ragione mi andava dicendo: «Vedrai che con tutta questa polenta dentro, farai fatica ad arrivare a Pieve Santo Stefano!»

Ma l’aria dell’Appennino presso il crinale vibra che è una delizia. Sembra che abbia delle intonazioni superbe