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190 divagazioni in bicicletta

le grandezze delle civiltà sovrapposte: la romana, la gota, la bizantina, l’una trionfante sull’altra senza però distruggersi ma glorificantisi l’una con l’altra: non era un’età, non era una regione sola: era l’occidente e l’oriente, il genio latino e il genio germanico che si erano incontrati lì, nella foresta dei grandi pini. La visione dell’impero che vibra per tutte le cantiche della Commedia, che assurge concreta nel VI del Paradiso, Dante — secondo me — non l’ebbe interamente nè da Roma, nè dai libri; ma da Ravenna: lì v’era la materia che gli parlava il profondo linguaggio delle cose che nessuno sapeva interpretare meglio di lui. Recatevi in San Vitale, aspettate un poco nel silenzio di quella tribuna — sogno d’oriente — e sentirete l’anima vostra immergersi nel tempo, giù: la figura di Giustiniano, prima fra gran corteggio, vi guarda dall’oro del musaico e dice:

«Cesare fui e son Giustiniano».

Così quest’altra idea mi venne in mente visitando Ravenna: quel non so che di simmetrico, di misticamente adorno che informa il purgatorio e il paradiso dantesco, non fu in parte, se non inspirato, almeno regolato dalle pitture musive di Ravenna? I profeti, le vergini di Sant’Apollinare Nuovo, procedenti con la corona fra gigli e rose, le figure aggirantisi per le cupole de’ due battisteri, non sembrano forse illustrazioni della Divina Commedia?

Io non cito che alcuni dei monumenti che ancora si conservano, tutt’il resto oggi è rovina e si direbbe mito se i preziosi cimeli che si scavano — la più parte a caso — non ne facessero testimonianza: ma al tempo di Dante dovea essere da per tutto un triopfo di figure luminose da imporsi necessariamente alla fantasia.

Gli stranieri che dai grandi centri dell’attività moderna vengono numerosi a Ravenna (l’albo del Museo