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divagazioni in bicicletta 187

risca il valore in questo popolo italico «da le molte vite», cui forse, per troppo volger di tempo, aduggiò l’ombra e il peso delle memorie.

Ma ecco una nota più gaia.

Io aveva un fine berretto con la visiera e una maglia tutta bianca, e a pena m’accostai al tempio vidi un ragazzetto correre verso casa urlando a squarciagola: — Memma memma, l’è arrivò un inglès (mamma, è arrivato un inglese). — Io non ci fo caso, entro in chiesa e, naturalmente, mi levo il berretto. Ma l’impressione del freddo — sudato come era — fu tanta che, visto lì vicino un gruppo di muratori che facevano colazione (in Romagna a far colazione, bestemmiare Dio che è il governo del cielo, il governo che è il Dio della terra, si comincia abitualmente presto) domandai ad uno di essi la sua giacchetta. Era una giacchettaccia tutta sporca di gesso, di cui alzai il bavero e strinsi sul petto le falde.

Proprio in quel momento con gran premura e con un gran mazzo di chiavi entra la guardiana. Il ragazzo mi riconosce e mi indica alla mamma.

La donna mi guarda, si rivolge al ragazzo e puntandomi contro il dito, con un disprezzo intraducibile, dice forte — Quel l’è un inglès? — Buttò via le chiavi e mi rivolse superbamente le spalle trascinandosi dietro con dispetto il figliuolo.

Di questo magnifico tempio bizantino del secolo V, consacrato dall’arcivescovo Massimiano a S. Apollinare, non restano che le colonne di marmo greco, reggenti le tre navate, e la tribuna. Delle pitture musive parietali, di marmi, del pavimento, della travatura a stelle d’oro nulla rimane: asportato, distrutto, rifatto tutto. Anche oggi il vento del mare e la salsedine, entrando per gli