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la seconda disillusione 153


La signorina pure sorrideva, facendo sembianze di gradire la irruenza giovanile di quel bizzarro discorso.

La madre, alla sua volta, come a giustificazione del figliuolo, ripeteva ogni tanto: «Tu, figliuolo, ti innamori troppo dei tuoi fantasmi!» e rivolta ai compagni di viaggio, aggiungeva: «Sono nebbie melanconiche del cervello che si sciolgono al primo soffiar di vento.»

Il giovane, pur proseguendo il suo dire, faceva cenno di no con la testa.

Per fortuna il treno era entrato sotto la tettoia della stazione di Bologna. Si soffocava dal fumo.

— Non scendono, i signori? — domandò il giovane al signore e alla signorina che non si era mossa affatto.

— No — rispose il signore — andiamo sino a Pesaro ai bagni, e questo vagone prosegue.

La signora si raccomandò al figliuolo che scendesse per comperar da mangiare: «fa presto, la frutta, mi raccomando, almeno la frutta!»

Il giovane scese.

La signora, mentre è sceso, aggiunse volubilmente:

— Non credano, per amor del Cielo, a tutto quello che dice mio figlio. Pare un uomo a vederlo, ma è ancora un bambino. Se dice qualche bétise, lo perdonino. Pare presuntuoso, ma non lo è: invece è che non ha provato nulla di triste della vita, nessuna vera disillusione: altro che il piacere, piacere onesto ben inteso. Egli vuole che tutto sia felice, perfetto, corrispondente a ciò che lo innamora nella fantasia. Una disillusione per lui è una ferita: non mortale, però. Le sue ferite rimarginano presto. Provino a mutar argomento, a parlar d’altro che non sia l’Italia e la politica e vedranno che è così come io dico. È un amabile ingenuo; e la ricchezza e la difesa