Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/223


la seconda disillusione 145


Madre e figlio.

Lui sui vent’anni, robusto, anzi eccessivamente membruto, ma aitante nella persona, bellissimo, elegantissimo; porta l’occhialino all’occhio sinistro. Parla con accento puro che sembra quasi toscano, gesticolando come un meridionale; ma non deve essere nè l’una cosa nè l’altra. Gli occhi sfavillanti come carbonchi, la pelle vellutata e quasi dorata, dicono che su di lui si è posato un sole più ardente di quello che illumina S. Maria del Fiore o il Marechiaro. Difatti egli è orientale, dell’Egitto, che appena il signore e la signorina accennarono di sorridere e di rispondere (era impossibile fare altrimenti) aveva levato dal portafogli il biglietto da visita e si era presentato con tutti i suoi nomi e le sue qualità: orientali tutti e due, lui e la mamma: orientali certo per nascita e per dimora, ma di origine italiana da parte del babbo, meglio, cosmopolita; tale almeno si poteva giudicare dalla genesi della famiglia paterna e materna che il giovane fece con grande volubilità, rapidità e senza esserne richiesto affatto.

Lei, sui cinquant’anni; biondissima, occhi azzurro-cupi, sopraccigli neri, perfetti, che parevano tirati con l’inchiostro di China, carnagione rosea. Porta le tracce di una gran bellezza sfiorita oramai, ma non trascorsa. Di forme colossali, non però ineleganti, veste completamente di bianco con un berretto di seta azzurra alla marinara come fosse stata una giovinetta.

Lei. è un forno, figlio mio, questo scompartimento: quasi non ci si respira: soffoco letteralmente.

Lui. Te l’avevo detto, mamà, che con questi calori di giorno non si può viaggiare, ma tu: dura!

Lei. Figlio mio, di notte ora, in Italia, ho paura di viaggiare: l’hanno assicurato anche all’Hôtel che non è prudenza.... A proposito, a che ora si arriva in Ancona, figlio mio?