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di un povero diavolo 137
lucidissimamente nera fuori da uno sparato e da un colletto lucidissimamente bianco, si rivolse con intenzione a me, e disse:

— Io per me preferisco i versi del Rostand a quelli di Dante.

Lo zio gli si voltò di proposito e lo ammonì tout court di non dire delle bètises e concluse con questa fine sentenza: «Dante è Dante».

Il signor grande letterato benevolmente assicurò il giovanetto che si trattava di due cose diverse: quindi il paragone non poteva sussistere «per la contraddizion che noi consente».

Ma il giovanetto rimase imperterrito nella sua opinione.

Lo zio disapprovò la sua opiniatrètè.

Due signorine, allieve di una aristocraticissima scuola femminile, approvarono con entusiasmo l’opinione libera e spregiudicata del signorino.

Io mi limitai a rispondere che non potevo rispondere non avendo letto ancora i versi del signor Rostand. In mio cuore però pensai con rincrescimento che una parte, pur minima, delle trattenute sul mio esiguo mensile vanno per stipendiare dei professori che spiegano Dante in modo da accenderne l’amore e lo studio come qui è dimostrato.

Alla confessione di non aver letto nulla del Rostand, sorse una voce unanime di meraviglia.

IL giovanetto promise che l’indomani mi avrebbe fatto avere al domicilio il volume del detto poeta francese. Ringraziai di gran cuore.

Seguì una disputa accaloratissima su di una partita di Lawn-Tennis, sulle eleganze di prammatica in questo nobile giuoco, mondiale oramai.

Il giovanetto liceale era avvilito perchè non possedeva la più tenue pelurie al labbro superiore da farsi radere,