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132 considerazioni gastronomiche

bianco, di roseo come corallo, che eccitò la mia curiosità. «Carne non può essere — pensai deliziosamente — perchè è troppo bianca: dolce nè meno perchè i dolci hanno l’abitudine di presentarsi in fin di tavola; e qui siamo al principio, alla prefazione, all’esordio, dunque senza dubbio si tratta di un piatto di pesce. Deve essere una cosa prelibata», e mentre seguivo il lento avvicinarsi di quel piatto, la mia dama di sinistra mi chiese:

— Lei quale acqua usa?

Da prima non capii; ma la signora aggiunse: — Noi usiamo l’acqua di Chiara-fonte; è aggradevolissima al palato e di una sorprendente efficacia digestiva: i medici la consigliano.

Risposi alla signora che per digerire non avevo mestieri di acque purgative.

La signora mostrò quasi di arricciare il naso alla mia risposta.

— Ma per bere — insistette — che acqua usa? L’acqua di Bianca- onte, forse? meno efficace ma più ricca di gas.

Io volevo rispondere che per l’acqua da bere bevevo l’acqua naturale, che il buon Dio manda in tanta copia che il Governo se la volesse anche tassare, non lo potrebbe, e che i soldi per un liquido, caso mai, li spendevo pel vino: ma giacchè quella aristocratica dama mi voleva far bere per forza delle acque minerali, risposi che bevevo l’acqua di Bianca-fonte.

— Ah, benissimo — concluse la dama. — Però se userà l’acqua di Nera-fonte si troverà meglio.

Intanto il piatto era giunto sino a me. Il mio intelligente intuito aveva indovinato: era un piatto di pesce: ma la soavità di quella vivanda era superiore alla mia aspettativa. In quel piatto l’aragosta e il purpureo gambero caudato si erano incrociati al roseo salmone, l’oliva di Spagna germogliava dal fungo e dal tartufo; e quei