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124 | antidotum impietatis |
ridere in verità. E messer Anastagio rideva, e i denti gli battevano gli uni contro gli altri come le nacchere.
— Lo farò impiccare! Intanto avanti! Tanto vale cavarsi la curiosità. Dopo dormirò in pace.
Avanzò a tentoni.
Ad una certa svoltata si ricordò che in alto vi doveva essere una fìnestrina e si doveva vedere il lume del cielo. Invece tutto era buio. Evidentemente la luna era tramontata e il cielo era senza stelle.
Avanzò di corsa, colle fauci asciutte e con un braccio teso in avanti. Il braccio spinse la porta del sotterraneo che s’apriva per di dentro e si mosse all’urto.
— Maledizione! lo dicevo io! — sclamò messer Anastagio, e questo suono gli uscì come un rantolo di rabbia, e saltò furibondo in mezzo del sotterraneo dove aveva sepolto il cane barbone; saltò e battè col piede per ispegnere.
— Maledizione, lo sentiva io che c’era il fuoco!
E in verità dove era stato sepolto il barbone luceva qualche cosa di luminoso come il fuoco. Messer Anastagio quivi era balzato e pestò per ispegnere; ma il luccichio non si spense.
Era una luce come sotterranea, color di fosforo che, da quel punto ove era, si veniva dilatando silenziosamente senza crepitare. E messer Anastagio pestava pazzamente su quella luce, che invece di spegnersi, ingrandiva dolcemente.
Ingrandiva e intanto pigliava una figura spaventosa per gli occhi di messer Anastagio. Quella luce disegnava la testa del cieco, con la gran barba a ventaglio fatta di luce e le occhiaie vuote, immobili, fatte di luce. Quella testa mostruosa fissava messer Anastagio, e poi che ebbe fissato, si mosse, percorse lenta, senza rumore, il pavimento; e poi si collocò su la parete e quivi si fermò a guardare ancora, a guardar sempre messer Anastagio. E