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il linguaggio delle pietre e dei pesci


Lasciai quella folla festiva e mi addentrai per una via dove l’ortica cresce. Ecco la casa dei nonni! Essa venne incontro alla mia vista perchè essa è rimasta lì davanti all’antico tempio — un tempio del quattrocento fatto di idee e di marmi, — era rimasta lì e non si era mossa. Mi venne dunque incontro.

Però che impressione di piccolezza! strana, fantastica impressione quasi! Anche il cancello di ferro su cui era la mia felicità pencolarmi, era lì uguale, ma come piccolo!

E dire che quando ero piccolo io, quella modesta casa mi pareva grande, tanto grande: come un tempio! Il celliere con le coppielle dell’uva e le mele allineate sulle assicelle mi pareva la provvista per tutta la vita! il giardinetto mi pareva un parco dove ci si stava cosi bene che il restante del mondo diventava superfluo! La casa mi pareva forte come un castello che mi avrebbe albergato e difeso per tutta la vita e contro ogni nemico! Come tutto ora era piccino, abbandonato! Però, chiudendo gli occhi, le rivedevo le stanze lassù, grandi grandi, lucide lucide, con pochi e bei mobili antichi presso le pareti. Guai un filo per terra! La nonna ce lo faceva cogliere! Anche il nonno ricordo! Mi ricordo che, poveretto! dopo avere consumato il suo patrimonio (vecchio egli era e mezzo colpito) aveva la debolezza di occultamente dimezzare le bottiglie del vino e riempirle d’acqua: forse si illudeva di vedere rintegrata la sostanza troppo liberalmente spesa come riempiva le bottiglie. Però egli conservava ancora la energia di protestare, e ne sento ancora la voce: «Io sono cristiano, cattolico, apostolico romano!» Io, bambino, non capivo quelle parole che anzi per me avevano un senso cabalistico...; però non le dimenticherò più.