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sotto la madonnina del duomo 105


— Stia tranquillo: lei sarà servito a dovere. Se ne andò.

Alle due era davanti alla porta del morticino.

Davanti alla porta c’era già il carro funebre con un vecchio cavallino bianco e il piccolo catafalco bianco: sul cocchiere e sul cavallino cadeva la neve. Nell’atrio c’era un prete che parlava con l’apparitore e stava dietro il portone per evitare la neve.

Ambrogino cercò con gli occhi e con animo sdegnato il padre: Pasquà. Ma quando lo vide, gli fece più pietà che ribrezzo. Se ne stava livido, impietrito, con gli occhi nel vuoto. Cinque o sei figure bieche e miserabili al par di lui lo circondavano senza parlare.

Ambrogino cercò con i suoi occhi gli occhi di Pasquà, ma non fu veduto.

Poco dopo scese giù dalle scale il becchino che qui chiamano con un bel nome greco: «il necroforo». Portava la piccola bara di abete sotto il braccio; e molti bimbi della casa seguivano la bara, e facevano sonar gli zoccoli di legno giù per le scale. Tutti si scansarono e si tolsero il cappello. La pesa nagott, sentiva Ambrogino che uno diceva. Il coperchio del sarcofago si alzò sulla piccola bara e ricadde con un rumore secco e forte.

All’apparire del feretro giù per la scala Ambrogino che non poteva staccar l’occhio da Pasquà, vide con un brivido di paura un lampo di belva passargli nella pupilla.

Fu un istante.

Ma quando la croce, stemma dell’umanità, fu inalberata davanti a lui e passò, il capo all’uomo cadde in giù, e i piedi strisciarono dietro il feretro.

Tutti gli altri seguirono.

Ambrogino vedeva la sua corona bianca più distinta