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104 sotto la madonnina del duomo


E Ambrogino nicchiava. Se avesse avuto tempo sarebbe andato a Loreto dove c’è un giardiniere che doveva essere più a buon mercato.

«E poi per chi la compro la corona? — pensava tra sè e sè — Per lei no perchè è troppo afflitta e non se ne accorgerà nemmeno e non sta bene che io glielo dica: «guarda che ho comperato la corona», per lui no che è un miserabile: per il piccino no perchè non sente più.... Non sente più niente? E se sentisse, come sarebbe contento che io gli ho comperato la corona e mi sono ricordato di lui: povera robina piccola!» E pensava a delle cose strane e tristi, e la sua felice smemoratezza umana sentì distinto il suono di una verità che è come il tocco della campana sul faro del mare: suona sempre, ma noi non la udiamo se non quando la morte pone il dito su le labbra e dice: silenzio! e allora sentiamo bene, e solo quel suono ci pare vero e tutte le altre cose ci paiono cose vane.

La commessa intanto prese a dire, e parevano ad Ambrogino che fossero parole lontane:

— Se vuole spendere poco, faccia una cosa, prenda a nolo una di quelle corone di fiori secchi, fanno la loro figura e con quattro o cinque lire se la cava.

— No! no! — fece Ambrogino crollando il capo, — li voglio freschi, povero bambino.

— Allora parli col principale.

E sollevò una tenda e scoprì una stanzetta interna dove alcune donne facevano corone per morti e cestelli leggiadri per le cantanti: la tavola e il pavimento erano sparsi di fronde e’ di fiori: le donne legavano i mazzetti rapidamente e li infilavano in certe anime di paglia.

Venne il padrone e combinarono per quarantacinque lire una coroncina piccola di fiori freschi.

— Ma che siano belli, mica quella roba che è lì per terra!