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98 sotto la madonnina del duomo

anche davanti alla porticina verde e chiusa ove stava la napoletana.

— È qui dove sta la napoletana? — domandò ad una bambinella che sul ripiano giocava placidamente alla bambola con due altre bambine.

Quella che ghe mort el fiolin? — chiese. — Sì, la sta lì.

E Ambrogino tirò di campanello.

Venne quasi subito ad aprire lei.

Aveva gli occhi rossi e gonfi ma non piangeva: si era vestita di nero ed era tutta ravviatina.

— Povera tosa! — compassionò Ambrogino prendendo la mano di lei, fredda e umidiccia, tra le sue. — Ma come l’è stata?

La madre sospirò di un sospiro profondo e senza lagrime, e poi disse:

— Venga pur avanti, signor Ambrogino.

— Non c’è mica lui. Pasquà?

— No, è fuori.

Attraversò un piccolo corridoio buio, dove si sentiva dall’odore e si capiva da una tenda rossa che c’era dietro il fornello, e poi entrarono in una stanzettina.

Era la stanzettina dalle cui finestre, tre anni avanti, avea visto le due tortorelle baciarsi e fare il loro nido adorato. Allora era un giorno grigio come in quel dì, e l’aria avea anche allora il sospiro pieno di raccolta pace della neve.

— La si accomodi qui, — disse la giovane, e lo fece sedere vicino al tavolo da lavoro dove c’erano le cuffie, le maglie che la donna lavorava per il mercante.

Ella cominciò a raccontare com’era stata la cosa e lui, prima di sedersi, fece atto di levarsi il cappotto.

— No, lo tenga, — disse lei, — non faccia complimenti, qui è freddo, — e seguitò a raccontare tutta la malattia con una tranquillità indifferente che fece mera-