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sotto la madonnina del duomo 97


Il portone della casa di fronte era per metà socchiuso. Ora è uso a Milano, a pena qualcuno muore, di chiudere uno dei due battenti.

Guardò in su alle finestre della casa come se quelle avessero dovuto dire qualche cosa: non dicevano nulla; solo nell’aria gelida, dal cielo di piombo, venivano giù certe piccole falde di neve: preavviso di una nevicata, di quelle nevicate grandi che coprono tutto, che hanno virtù di Stranamente addormentare i rumori dell’opera umana.

Evidentemente il piccirillo è morto!

E anche questa volta Ambrogino parve titubare; ma si risolse alfine per quell’azione che il torpido egoismo senile gli inibiva.

Entrò dunque e domandò al portinaio se era morto il figlio della napoletana, che così era chiamata, giacchè nel nostro dolce paese è uso comune dire «napoletano» uno di qualsiasi regione dell’Italia meridionale o centrale: nel modo istesso che un emiliano, un lombardo, un veneto, nell’Italia meridionale, viene chiamato piemontese.

— Sì, sì, l’è morto ieri — rispose il portinaio dal suo deschetto a pena illuminato da un barlume che cadea dall’alto d’un finestrino — ma credo che sia stato meglio così — concluse con quella filosofia stoica e paziente sulle mondane sventure che è caratteristica dei portinai in genere e del portinaio milanese in ispecie.

— Si può andar di sopra?

— Tutte le volte che vuole.

Andò dunque di sopra e si trascinò sino all’ultimo pianerottolo, e a ogni ripiano delle viscide scale lo nauseava quel tanfo di privato in comune. Credeva, di mano in mano che saliva, di sentire dei gemiti e degli strilli, e ne avea disgusto e sgomento: invece era tutto quieto