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94 sotto la madonnina del duomo


Novembre. Don Ambrogino è tornato a Milano: è dubbio però se, riuscendo eletto, non trasporterà i suoi penati e la sua stufa a Menaggio.

Ha riveduto la sposina. Lui le ha contato come passò quattro mesi sul lago e che bella vita vi si conduce. Lei alla sua volta gli ha raccontato che adesso lavora in casa per conto di un mercante di abitini fatti.

— E il suo Pasquà?

La sposina alzò le spalle:

— Peggio di prima — disse.

— E come va per il resto? Coi milanesi ha fatto la pace? Ci si è adattata al risotto e al minestrone?

— Eh, così, così — disse sorridendo — ci si viene abituando un po’ per volta. Sa che devo andare in un negozio di mode come banchiera? mi prenderebbero volentieri, mica per la bellezza che non c’è, ma per la parlata: due franchi al giorno e la colazione. Se non fosse pel bambino avrei di già accettato.

— Vede che si adatta anche lei? — disse Ambrobrogino. — Milano è fatta a posta per svegliar le gente.

— Sì, sì, non sono più così sciocca come prima! — e pareva volesse dire dell’altro, ma si spicciò con un: — Arrivederla, signor Ambrogino.

Ambrogino la seguì con lo sguardo. Ora camminava non più impacciata come una volta; ma avea preso quel fare galante e sciolto della pedina milanese. Il volto non avea acquistato lietezza di vivo sangue, ma da quel pallore traeva profitto l’acconciatura dei capelli e la studiata cura del volto, le quali arti prima le erano ignote.