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sotto la madonnina del duomo 91


Quando cominciarono a sfilare le grandi carrozze e le berline, più superbe che un tempo quelle de’ cavadenti, la giovane donna non potè frenarsi a quel nembo di folgorante ricchezza che passava davanti alla sua timida ammirazione. E ritta sulla punta de’ piedi, sporgevasi in avanti quasi dimenticando il bambino che reggeva, e le esclamazioni di stupore le fiorivano sulle labbra smorte.

Ma Ambrogino che godea di quell’ammirazione quasi che quelle berline, que’ sauri che nel muoversi luceano come di raso, quello splendore di vestimenta e di monili fossero stati un tantino di sua proprietà, le diceva sorridendo di giusto trionfo:

— Altro che il palio di Siena!

— È altra cosa — rispondea lei a pena, senza voltarsi. — Ma certo questo seduce di più.

Chi non sorrise, chi non spianò la fronte fu Pasquà. Si faceva livido. Finalmente scoppiò a dire grignando i denti:

Quanto se’ fessa! Ammira, ammira perchè è tutto sangue del povero quello che hanno addosso quella gente lassù, e lo portano in mostra. Ma lo vogliamo fare anche noi il maggio con del rosso di sangue: e li mortaretti per da vero.

Ambrogino gli fece osservare che li si veniva per divertirsi, e non per guastarsi il fegato.

— Sfruttatori, sia pure, — dicea, — ma lei poverina che colpa ce n’ha?

— Ci ha colpa sì, ci ha colpa! — rispose lui con fare cupo e da cattivo. — Via a casa che non la voglio più vedere questa mascherata!

Lei supplicò un altro istante.

— A casa, dico — ripetè lui, e ruppe di traverso la folla estatica. Lei gli andò docilmente dietro con la cuffietta bianca del bambino che, immemore, sopravanzava la gente.