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sotto la madonnina del duomo 89


Ma, ohimè, Ambrogino ne dovea sentir venir fuori delle altre da quelle pallide labbra di mamma giovane, e con le parole vennero fuori anche certe lagrime amare.

La pace non c’è ora più in famiglia: suo marito che prima era tanto buono, tanto di casa, adesso non lo si riconosce più: non la guarda più e la trascura.

— Guardi le mi’ mani come son diventate rosse a lavare i piatti! — dicea. — Bisognerebbe far quello che fa la inquilina del primo piano! Tutto il giorno si gingilla in vestaglia, una più bella dell’altra, e quando esce la sera, veder che roba! Quella lì il mi’ marito la guarda, e i fornitori le fanno credito e la chiamano sciora con tanto di inchino, e non è invece che una svergognata, una mala femmina. Son sola il giorno perchè lui è all’ufficio: son sola la notte, perchè quando ha mangiato quel boccone, scappa, e chi lo vede più? La mia compagnia è questo povero citto. Lui, poverino, non intende nulla, gli ha otto mesi oramai, si figuri! ma io ragiono con lui come se fosse grande e certe volte fa certi sorrisi aperti che pare intenda tutto, e invece so che non intende nulla. E mi dica con chi dovrei parlare tutto il giorno e tutta la sera quant’è lunga?

— Che la guardi che ride! — disse Ambrogino.

— Ma se le dico che par che intenda tutto! veda que’ du’ dentini che gli sono spuntati? veda come son bellini bianchi? La mi’ pena era che non gli nascessero denti: che è segno di rachitide e invece se lei ci mette il dito sente come le gengive sono accalorate.

Ambrogino, benchè di bimbi avesse poca esperienza, si sfogava in elogi e lei rispondeva crollando le spalle, e aveva certi «che, che!» e un certo modo di dire così grazioso che non c’è neanche in milanese: diceva: «ca-