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84 sotto la madonnina del duomo

gomentò Don Ambrogino, spogliandosi e ripiegando e spazzolando i suoi abiti di mano in mano che se li toglieva di dosso. — Ambrogino, nun te ne incaricà! — ripetè e spense il lume ravvolgendosi nelle lenzuola, e questa giaculatoria era come la sua preghiera serale.

Maggio! È venuto maggio con le rose e i mughetti. Milano splende e suona operosa nel sole. Sono verdi i prati come smeraldi. I giardini espongono le loro aiuole fiorite de’ fiori più rari: il parco è un incanto. Le ruote delle carrozze signorili scintillano e passano co’ loro cerchioni di gomma sulla ghiaia fine, ondeggiano mollemente sospese alle grandi cinghie: i palafreni che vanno di bel portante fanno suonare i metalli de’ loro fornimenti e il loro trotto pare che abbia ritmo di musica.

— Questo bel parco, questo splendido giardino io li posso godere come fossero una mia proprietà, — dicea Don Ambrogino; e poichè il medico gli ha consigliato la cura primaverile del latte come antidoto a quella invernale del barbèra, così egli si reca ogni mattina alla latteria dei Giardini publici; e v’è una stalla «razionale», cioè modello, ove le mucche sono più pulite ed hanno più comoda stanza dei cristiani; e il latte è servito in fini cristalli con sottocoppe di squisito lavoro e vi sono bei sedili e opache ombre per bere il detto latte alla frescura: e fanno il servizio belle giovani in grembiule bianco.

Alla latteria ha incontrato una giovane donna col cappellino, e un bambinello in braccio: stentò un poco a riconoscerla, ma poi la ravvisò. Poverina, come è data giù! E la sua vicina di casa che viene a comperare il