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sotto la madonnina del duomo | 81 |
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Fra le molte felicità di Ambrogino vi fu però una scoperta triste.
Non era nè il risotto, nè il barbèra, secondo lui deteriorati da quel che erano in antico, no, era un’altra cosa di cui a bella prima non si voleva persuadere, ma di cui dovette mal suo grado amaramente convincersi.
Lasciamo stare che i milanesi veri come lui, dal cuore largo e dal parlar rude e franco, non erano più che in pochi: c’erano veneti, friulani, emiliani: ma pazienza! Non per nulla si era fatta l’Italia. Ma i tedeschi, ma gli svizzeri, che c’entravano loro?
Per certe strade non si sente che parlar tedesco, e tutta gente ben vestita, e che pezzi d’uomini e di donne, e che tuono! Li aveva visti lui! Entrano nelle botteghe, comandano come fossero loro i padroni: questo modo di fare se lo poteva tutt’al più permettere lui che era vero cittadino di Milano, ma loro! Se lui avesse dovuto andare a Berlino o a Vienna, si sarebbe presentato col cappello alla mano, avrebbe chiesto licenza come si fa quando si entra in casa degli altri: invece loro...! Un giorno alla birreria ne aveva vicini due, grossi come due corazzieri: mangiavano quelle carni tedesche affumicate facendo scricchiolare sotto i denti i salzstangen: parlavano, e non sapeva certo lui di che cosa, ma senti due o tre volte il nome d’Italia detto in un certo modo che gli si inacidì il sangue, e uno rideva con una certa bocca che pareva voler dire: noi mangiare tutta bella Italia con tutto risotto e con tutti maccaroni, e bere anche tutto vino.
Avea mutato di posto per non compromettersi e avea chiesto al cameriere un giornale: il cameriere, nemmeno a farlo apposta, gli avea buttato lì cinque o sei giornali tedeschi di cui non si capiva nemmeno il titolo.