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sotto la madonnina del duomo 75

viola, vide tutto d’azzurro il mare di Capri, e pensò a quel sole di laggiù che versava flutti d’oro fiammante e che in quel mese le zaghere erano fiorite di tra il verde lucido degli aranceti. — E poi — esclamò fra sè Don Ambrogino, crollando il capo e ripigliando l’opera del martello — qui gli spaghetti col pomidoro non li sanno fare; sanno far tutto, ma quelli no. E anche il barbèra era più buono quello che si beveva una volta, a’ miei tempi.

Ma quante cose nuove e meravigliose sono sorte a Milano in così breve tempo! La piazza Castello con le baracche del Tivoli chi la potrebbe riconoscere più? E quel Parco cresciuto come per opera di una bacchetta magica? E quel castello dove stavano i croati col Radetzky? Lui se li ricordava i croati; a scuola le avea anche lui cantate le preghiere gravi per «il nostro imperator!» E tutti quei monumenti? Ce n’è per tutti i gusti e per tutti i partiti. E i palazzi del Foro Bonaparte? tutti sembrano di marmo, a cinque o sei piani, e vi si monta senza scale. E il cimitero di Musocco? Dev’essere quasi una soddisfazione morire per andare in un luogo tanto spazioso e messo bene: in tram elettrico anche lì; tutto elettrico adesso! Invece laggiù, per i mortori, tutte quelle campane, tutti quei ceri, tutti quei fiori, tutti quei pianti, quelle nenie, tutti quei catafalchi rossi e d’oro che non finiscono più, come fosse una mascherata! Qui invece tutto in fretta: in tram e via! Volete essere cremati? Basta dirlo prima.

Don Ambrogino non è curioso, ma ieri è rimasto parecchio tempo a strologare che cosa faceva la sposina