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sotto la madonnina del duomo 69


A Milano con poco più di cento cinquanta lire al mese, al tempo che corre, non è cosa agevole mettere su casa, e sarebbe falsare il vero dicendo che per Ambrogino i principii non furono alquanto difficili. Per uno, ad esempio, che s’era abituato a far delle mangiate di insalatina fresca, e con due centesimi ne comperava tanta che ne avanzava per il dì appresso, vedersi misurare la lattuga, ben bagnata e fangosa, col bilancino, era uno sconforto. Egli è vero che il fruttivendolo lo avea assicurato che tutte le grandi città di commercio sono così: dove la roba se paga nagott, son città che non sono nemmeno degne d’essere nominate. Anche la scelta dell’alloggio costituì una certa difficoltà, giacchè Don Ambrogino voleva essere padrone lui di casa sua. Di stanze ammobigliate ne aveva fin sopra i capelli, e se avea fatto qualche risparmio, era appunto nella prospettiva deliziosa di metter su casa del suo. Ma appena ebbe tastato il polso ad un appartamentino di quattro stanze nella nuova Milano, proprio carino che pareva fatto a posta per lui e si sentì rispondere «novecento lire», provò l’effetto di una scottatura. — Ma c’è acqua potabile, riscaldamento, luce elettrica e gas: tutto il comfort moderno — gli disse il ragioniere della casa. — Già — pensava Ambrogino andandosene di lì — quest’è vero, c’è tutto gratis, calore, acqua, luce, fuoco: peccato che non vi siano anche le novecento lire per pagare tanti bei comodi e non vi sia la chiavetta pel vino accanto a quella dell’acqua! Del resto codeste furono inezie che non turbarono punto la definitiva sua felicità. — Bisogna prima conoscere tutti i vantaggi di una grande città e poi giudicare se è cara o no; e non sai tu, Ambrogino, povero fesso — diceva a sè medesimo — che stare a Milano al giorno d’oggi è