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60 la morte di un re

mi riaccostai al falco, ma con molta prudenza, e lo vidi con regale solennità immobile come prima; solo l’ala rientrava come da per sè quasi serpe che rimbuca, e quattro lunghi e sottili aghi adunchi si ritraevano nei loro alveoli.

I suoi occhietti gialli, tondi, si movevano solo essi, e seguivano ogni mio gesto, come l’imagine nello specchio segue chi vi si affaccia, e col muover delle pupille si moveva un becco breve ma uncinato, di cui prima non mi era accorto, e dava alla fisonomia un aspetto grifagno.

Compresi allora come il piccolo animale, uguale nell’aspetto agli altri uccelli, ne fosse diverso per delle qualità segrete che prima non avea sospettato.

Pensieri di rappresaglia si agitavano nel mio cervello. — Io ti punirò di morte, — dissi con voce di giudice che sentenzia, ma la mia voce risonò a vuoto nello stanzone melanconico, ma era una voce dolce la mia, egli invece mi avea colpito senza emettere un suono.

Gli enumerai con persuasione tutti i suoi torti: — Voi siete un violento, un rapace, un masnadiero dell’aria, voi avete, signor falco, spogliato tanti nidi, lacerato e ucciso tanti innocenti augelletti i quali cantavano la gloria del Signore e provvedevano il vitto ai loro piccini! Gran perfidia fu la vostra, signor falco, ma ora siete in mia balìa e ne sconterete bene la colpa senza alcuna remissione o pietà.

Così fermato il proposito della pena, dopo essermi assicurato che il falco era ben legato, corsi in cerca di un bastoncello e feci per colpirlo.

Ma il falco stette: solo si contorse nell’atto superbo e magnifico con cui sogliono effigiarsi le aquile negli stemmi, e le pupille perforanti saettarono un senso: — Vile!

Ed io non lo percossi.