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54 | dalla padella nella brace |
— Se gli do io la mia cavalla — disse Menico che aveva inteso — ci andrà. La mia cavalla in un’ora è su, e in mezz’ora è giù. Ma se no, no. Gli darà l’assoluzione coll’asperges da qui. Garantisco io!
Si era giunti al villaggio.
Il delegato sottrasse in una stalla i miserabili dalla curiosità e dalle ingiurie della gente: volevano sputar sul viso allo Sbircio: gli buttavano immondezze sul volto.
— Adesso me la darai è vero, la mia Ceccona, la bottiglia di vino fino? Se non me la dai, lo faccio scappare lo Sbircio.... — diceva il carabiniere all’ostessa.
— Per la bella fatica che hai fatto!
E noi, preso commiato da tutti, ci partimmo assai lietamente alla volta del grande ed erboso monte da cui, dal tempo di Enea troiano, volve continuamente l’acqua del fiume Tevere.
E benchè la colazione alla Cella dovesse, secondo ogni buona promessa, essere copiosa, pure volle la guida portar seco il pane e la frittata rimasta in cucina dalla vigilia. Oh, non era pagata? Gli si era destato un grande appetito.
E mentre gli asinelli salivano i botri del rupestre sentiero e scandevano gli aspri sassi, la mia compagna mi parlava festosamente delle fragole, dei lamponi, della ricotta fresca che ci attendevano alla Cella.
— Vogliamo portarne un bel cesto ai bambini e alla nonna, è vero?
Per mio conto pensavo che le manette in certi casi sono pure un grande istrumento di civiltà; e che se il secolo ventesimo perderà la cieca fiducia che il secolo decimonono ha avuto nell’alfabeto, riconfermerà però quella per le manette, bene applicate con giudizio, si intende!