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dalla padella nella brace 53


Parevano i tre malandrini tre bestie feroci, prese alla taglia: pallidi, esterrefatti, con gli occhi dilatati e spauriti. Anche le guardie, con gli abiti stracciati, coperti di polvere, recavano nel volto le visibili tracce della sofferenza nella lunga attesa notturna, e della lotta accanita che avevano dovuto sostenere.

Mi accostai al delegato che camminava per ultimo con la fronte bendata col fazzoletto. Era un uomo di mezz’età, una fisonomia buona e aperta. Mostrò di accogliere con riconoscenza le nostre domande premurose.

— La ferita è niente: ma un centimetro più in dentro, ed era finita: mi dispiace perchè ho due bambini piccoli a casa. Vuol vedere che arma avevano? Dia qua.... — disse ad una delle guardie che teneva una carabina ad armacollo, e quegli gliela porse. — Guardi che arma stupenda di precisione!

E andando, ci facevamo raccontare l’appostamento notturno e come avvenne la cattura in casa del manutengolo.

— E quello non l’hanno preso?

— Quello lì è rimasto sul luogo: come si fa? Hanno fatto resistenza e abbiamo dovuto difenderci: un colpo è andato male e ha steso per terra quello che ne aveva meno colpa di tutti....

— Ma se era un manutengolo.... — dissi io.

— Veda, caro signore, qui non si può giudicare coi criteri assoluti con cui possono giudicare loro nelle grandi città e nei loro giornali: molte volte si è manutengoli per forza o per guadagnare qualche danaro: intanto lassù ci sono tre bambini e una donna che piangono attorno ad un morto, o moribondo che sia.

— Fra quelle felci?

— Fra quelle felci. È la vita che è fatta così! — concluse filosoficamente il delegato. — Gli manderemo su il prete di Monte Coronare con l’olio santo, se ci vorrà andare.