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42 | dalla padella nella brace |
mia presentazione e insisteva che noi eravamo due saltimbanchi.
— A voi — mi disse con tuono prepotente — vi ho visto alla sagra di S. Piero far ballare l’orso, e quella bella biondina l’ho vista saltare su la corda.
L’ostessa si era accostata a noi col lume in mano e disse:
— Se vogliono venire a dormire, la stanza è pronta.
Demmo la buona notte e salimmo in una stanza del primo piano che ci era stata allestita. Era quanto di meglio ci rimaneva da fare per allora.
— Doveva proprio capitare quello sciagurato d’un carabiniere — disse la donna posando il lume che rischiarava a mala pena una stanzetta bassa, nuda, con un odore di chiuso e di reste di cipolle, appese ai travi, e da un lato occupata tutta da un letto così alto che per salirvi ci voleva la scala,
— Vedano — proseguì — quello lì è un prepotente, un cattivo, un poco di buono: con gli altri si prende la libertà di fare e di dire. Non ci è che mio figliuolo che lo faccia star a dovere e più gliene dice, più lui sta cheto. Un dì o l’altro finisce alla compagnia di disciplina. Loro però, a ogni buon conto, mettano il catenaccio all’uscio e non aprano, veh! Già non busseranno, ma dovessero anche bussare.... — e ci diè la buona notte.
Buona notte! Crudele ironia dell’augurio! Apro la finestra per dare aria a quell’antro e, tratto il catenaccio, lo scuro della finestruola stridette sui cardini e si aprì da per sè. Meravigliosa notte! La luna innondava di un bagliore purissimo la cupa valle: il Fumaiuolo, come un’immensa schiena chiudeva l’orizzonte, lasciando poco spazio al trasparente azzurreggiare del cielo. Sotto, digradavano i tetti d’ardesia delle poche casupole di Monte-Coronaro, immerse in un silenzio lugubre, a pena rotto dallo scalciare di qualche giumento nelle stalle.