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scitava dal mio abito nero dei riflessi verdognoli, e tenendo il capo basso per osservare quel colore della miseria, mi avvidi che i calzoni erano sospesi in alto, su le scarpe, con ignobili frange.
Non trovai altro scampo che mettermi a camminare, camminare forte perchè non mi raggiungessero. V’era qualche cosa; qualcuno che mi correva dietro.
Era un char-à-banc, come usano laggiù. Più di venti persone sedevano sui banchi; il cavallaccio fuggiva sbrigliato e arrembato con fragore di sonagliere. Mi oltrepassò e scomparve. Ma il rumore rimase negli orecchi.
Mi pareva poi che venisse dietro a me una cavalcata di pensieri schernevoli e pazzeschi. Cavalcavano certi cavalli apocalittici, maceri come la mia cagna; ma pur a spronate e a scudisciate avevano levato il trotto, e con gli zoccoli ferrei battevano su la strada sonora e polverosa con cadenza precipitata; «e dai! e dai! e dai!» urlavano tutti dietro di me, e si udivano risa atroci e sghignazzamenti senza fine. Poi quei fantasmi scomparvero o svoltarono. Allentai il passo e mi accorsi che io camminavo lungo una bella riviera, dove l’acqua, fra le verdi sponde, correva lene