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si parte in silenzio come un’adultera che si leva dal dal letto mentre dormiamo e corre a più gagliardi amori, e non c’è manifesto dell’abbandono se non quando ella, la giovinezza, è irrimediabilmente divisa da noi e ne udiamo presso altri il lungo, indimenticabile riso.
Un’altra volta era di domenica, l’ora della messa, e c’era un bel sole; uno di quei soli folgoranti come sono laggiù nel meridionale, specie quando sta per tornare il buon tempo. Dinanzi alla più aristocratica bottega da barbiere stava un crocchio di giovanotti, i più eleganti del paese: occhieggiavano le donne ed i passanti e poi conversavano fra loro; e movendosi facevano un gran luccicare di scarpe di vernice, di colletti alti e di catenelle. Frammisti erano anche due o tre scolari del ginnasio (laggiù sono molto precoci) di quelli che più si davano il tono di giovanotti.
Passai io, e tutti gli sguardi si puntarono su di me con un’impertinente insistenza, squadrandomi da capo a piedi. Gli scolari si toccarono a pena l’ala del cappello, gli altri non si mossero nè meno: e subito che fui passato mi colpì come una voce di scherno: — il professore e la