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che cosa per averla lasciata dove era. Domani me ne disfarò. Questa fu la conclusione e allora potei dormire.
Al mattino, un largo raggio di sole oriente mi svegliò prima del tempo. Per l’affare della cagna mi ero dimenticato di chiudere la finestra. Era presto; e nessuna delle note voci mattutine, nessuna sonagliera di capra si udiva, e in quel silenzio, in quella lucentezza di sole mi sorpresero i ritratti dei santi e delle sante appesi alle pareti. Curiosa! non me n’ero mai accorto che fossero tanti e così brutti! Perchè brutti erano davvero, e senza idealità come tutti i santi napoletani: oleografie di paltonieri in cocolla e di megere affette da pinguedine gialla in soggolo. V’era poi sul comò un Bambino Gesù di cera, grosso come al naturale, sprofondato ne la bambagia, che nell’intenzione dell’autore doveva ridere di celeste beatitudine e invece piangeva come un marmocchio ringhioso. Pareva fatto di salcicciotti tanto era pingue anche lui! Tutti convergevano gli occhi verso di me obliquamente come a domandarsi l’un l’altro con ira e sospetto: «Che ci fa qui codesto intruso? Lo sapete voi che ci fa, San Francesco?» «Io non saccio!» pa-