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o, per dir meglio, mi aveva accolto sotto la sua protezione.

Era una donnetta rossiccia sui quarant’anni, ma che pretendeva ancora a certe velleità di giovinezza e di eleganza: vivace e ciarliera quanto il marito era duro e tutto d’un pezzo. Nelle sue molte peregrinazioni su e giù per il bel paese, seguendo fedelmente, almeno nei viaggi, la sorte dello sposo grammatico, avea preso la lingua ed il dialetto di tutte le città dove era stata: il fondo era piemontese, ma con spunti siculi; le grazie e le veneri poi del dire erano del più puro napoletano. Nei gusti ancora non aveva preferenza: sapeva tanto apprestare un ragù squisito per condire la più saporita pasta di Gragnano, quanto fare una polentina bergamasca con contorno di uccelletti, pregi non comuni, coi quali consolava le elucubrazioni filologiche del compagno. Aveva poi un merito indiscutibile e assai raro nelle mogli degli impiegati girovaghi, cioè teneva la sua casa come uno specchio.

Ella era la sola che mi sconsigliasse di prendere moglie, e contro mia voglia se ne faceva un gran ragionare nelle frequenti passeggiate dopo scuola.