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ed insozzati e vituperati più del travicello che Giove mandò alle proterve ranocchie». Così pensavo guardando smemorato quegli scolari.

Ognuno però può pensare che io, benchè precipitassi in quest’altro eccesso di negazione e di pessimismo, ero più triste e sconfortato che mai. Sentivo che avrei dovuto cominciare a vivere un’altra vita e non sapevo quale nè il modo. E questa tristezza si acuiva maggiormente per ragione della solitudine in cui ero ridotto.

Anche il direttore, quell’uomo dabbene che vedeva il mondo attraverso le sue regole grammaticali, ed era così pieno di equità, e di congiunzioni causali e modali, avea preso in uggia la mia cagnolina.

Pensate: io la aveva ben pulita, le aveva messo una fettuccina rossa al collo con un campanellino, delle quali eleganze essa pareva felicissima. Ma era venuto l’estate e i cagnacci del luogo le si accostavano indecentemente.