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piccina! così debole, così buona, e non aver nessuno che la difendesse!»
Su per le scale sentii come un gemere fioco: era lei che faceva una nenia, una nenia che straziava il cuore; mi venne incontro e mi si rotolò ai piedi ma non ebbe forza di alzarsi.
— Buona lì, fa la cuccia lì, sul letto — dissi rimproverandola.
Essa si accovacciò, nascose il muso sotto l’ascella e parve acquetarsi. Ma io non dormii tutta la notte, o fu più un torpore che un sonno. A poco a poco dimenticai la cagna. Ma l’idea «così buona, così debole e nessuno che la difenda!» mi si allargò con una commozione straordinaria: pensai a mia madre, a me, a tutti quelli che sono deboli e che non hanno nessuno che li difenda. Mia madre, sopra tutto l’idea di mia madre mi straziò. Erano due anni che non la vedevo, e allora solo mi accorsi del lungo tempo e dell’indegno abbandono. La sua immagine che in quella lunga stupidità si era svanita come quella di persona morta, allora mi si disegnò viva dinanzi come se il fantasma fosse stato nella stanza.
— O, perdonami! perdonami! — mormorai