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eroi che, nelle scuole, si mettono da parte ogni anno al finire delle lezioni e si riprendono ancora più polverosi e più grotteschi di prima, nel modo stesso che lo stanco burattinaio appende alle quinte, quando è finita la farsa, i suoi terribili testa di legno per distaccarli ancora la sera seguente. La fame ha pur le sue leggi.

E poi anche quel vecchio latino mi era venuto in uggia: quel latino disseccato nelle scuole con tutte quelle sentenze di virtù, di amor patrio, di eroismo, di temperanza; sentenze mummificate nei libri di testo, sotto l’azione pedantesca delle chiose che vi fanno quei poveri compilatori, mezzo rosi dalla miseria e mezzo dalla presunzione!

O antico mondo romano, come ci tormenti con la tua materialità, mentre l’idea della tua vita forte e serena è così lontana da noi!

E voi pure, deità pagane, o Venere, o Galatea, bianca come il latte, e Febo Apolline, o Bacco cinto di pampini e d’edera, a cui gli scolaretti aggiungono gonna e stiffelius, non avevate altro rifugio che queste scuole? In fondo ai mari, su fra i monti inaccessibili, nell’aere sereno, nelle terre inesplorate non trovaste più