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bastava che passasse sotto il tunnel degli esami, alla maniera moderna.
Ed Aquilino s’accorse che aveva commessa un’altra stonatura: le quali erano già tre, e nel linguaggio della signora marchesa si chiamavano gaffes.
«È quel frùgolo lì che io non saprò mettere a posto? — diceva tra sè Aquilino quando il marcantonio del cameriere lo lasciò solo nella stanza che gli era stata assegnata. — Ma io ti mangio in insalata!»
Gli dava quasi più soggezione quella stanza chiara: chiari i mobili; chiaro, di metallo, anche il letto. Oh, una bella stanza! E quella specie di sistema nervoso e vascolare che aveva? Fili per la luce, fili per i suoni, tubi per il caldo, tubi per l’acqua. Però una bella stanza, e che buoni materassi, e cento cinquanta lire il mese!
Ma quella valigia di tela così gonfia, con quella corda in croce, che il cameriere gli posò senza dir nulla, come era vergognosa in quella magnificenza tutta bianca.
Povera marna!