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iole di vituperio e derisione cadere sopra le sue parole.
E un giorno aveva creduto di operare bene per la salute della patria; ma probabilmente operò male per la sua personale salute. Perchè si era recato presso uno di quelli uomini, i quali con molta autorità proclamavano: «guerra guerra, e presto! se no l’Austria è già cadàvere».
Andò, dunque,- e dopo lunga attesa, fu introdotto.
Ma quando fu introdotto davanti a quel signore, don Ippolito stupì di trovarsi di fronte ad un giovane senza rughe, il quale trattava lui, uomo di molte rughe, come se viceversa.
«Ma forse — pensò — è un giovane di genio»; benchè la sicumera e la troppa vanèsia eleganza, facevano dubitare su la consistenza del suo genio.
— Sinceramente, signore — disse Don Ippolito — , il mio sentimento sarebbe per la guerra. Ma la politica non è il sentimento. D’altronde la testa del conte di Cavour riposa nella tomba da cinquantatrè anni, e in questo tempo le democrazie non ne hanno fabbricata un’altra. Hanno fabbricate altre teste.
Il nemico per il popolo è l’Austria: ma in