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c’entro. È quest’onesto cocomeraio che è stato preso da un violento accesso di rimorso per la fetta troppo sottile che le ha dato. È vero, signor cocomeraio?

Quel signore parlava a sbalzi, a sfumature, con un certo accento che Aquilino non avrebbe saputo ben definire di qual paese, ma non era la gorgia melliflua e cascante dei signori della sua città: oh, un forastiero.

— Sai? — disse poi confidenzialmente — non te ne avere a male; ma mi è parso che tu stavi facendo come dicono a Napoli: si mangia, si beve e si lava la faccia.

— La faccia me la lavo con l’acqua tutte le mattine.

— Oh, guarda! E allora prendi....

E così dicendo, gli diede una manciatella di confetti, di cioccolatini, di quelli ravvolti nella stagnola d’oro e d’argento. Gli sonavano nelle tasche. Aquilino si voleva schermire, ma fu vano.

— E adesso te ne vai anche tu al mare, a sentire la banda, eh?

— È un po’ tardi oramai, signore, e mamà non va a letto se prima non vado a casa io.

— Ma tu sei l’araba fenice dei figliuoli. Lavori anche?