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— Io non so — rispose Aquilino — se il tempo in cui vivo si chiami passato ovvero si chiami presente: ma so che l’anima è come soggiogata dalla paura di certi problemi, e quando noi diciamo che la materia è formata dagli elettroni, senza altro sapere, ci accontentiamo di troppo poco, perchè noi spostiamo, non risolviamo l’enigma.

— Ma non esistono enigmi. E poi sa? chi si accontenta gode.

Ah, questa era insolenza!

— E allora — disse Aquilino — si accontentava anche il filosofo peripatetico del tempo di Don Ferrante e. di Donna Prassede quando diceva che la materia ora è caos, ora è una selva, or massa, or peccato, ora tàbula rasa, ora prope nihil, ora neque quid, neque quale, neque quantum, e per esprimere tutte queste definizioni con una sola parola, che la materia est tamquam foemina.

— E sia contento anche lei — disse con manifesta derisione il senatore. — Quando io vado in treno elettrico, io mi accontento del dominio umano su la forza della materia, trasportata da una cascata alpina alle rotaie del treno. E non penso più in là.

— Ed io, invece, penso più in là! — rispose Aquilino.