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del senatore. Eppure il bibliotecario del suo paese era anche lui un erudito: e leggeva i palinsesti e capiva bene le làpidi.

Si sarebbe creduto che un così autorevole senatore avesse preferito parlare di cose di somma saviezza. No! Preferiva parlare di cose mondanette, e ciò non senza un’amabile causticità. Le vesti, e i reggimenti, e gli ornamenti delle donne avevano in lui un espositore altrettanto dotto, quanto misurato e garbato.

Se avesse usato pari acume e lepore nelle sue lezioni, esse sarebbero parse meno tediose.

Quando però interveniva alcuna intricata questione, allora si ricorreva ai suoi lumi. Egli illuminava, e nessun vento, se non cortese zeffiro di fronda, si permetteva di soffiare sopra quei lumi.

La marchesa aveva presentato Aquilino a questo magnifico signore come frequentatore «entusiasta» delle sue «interessantissime» lezioni.

Bugia di prima grandezza, che donna Barberina aveva proferito con un candore inimitabile.

— Mi pare, mi pare, mi pare — rispose quel personaggio; e quel mi pare suonò con voce blesa, in fretta, come un: mi pale, mi pale, mi pale.