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Certo miss Edith in quelle conversazioni non trasportava le sue qualità pedagogiche. Era molto vivace; e se non la avesse veduta bere acqua, Aquilino la avrebbe detta misteriosamente ebbra. Le sue grazie un po’ esotiche, il suo parlare straniero attraeva. Dalle pupille di lei piovevano muti lunghi sguardi. Intimi colloqui or con l’uno or con l’altro: lungo ridere sonoro come in su le scene. Oh, il flirt! E col senatore più che con altri.
Il grosso uomo ne godeva come un gargantuà a cui è offerta delicata pastura.
E verso di lui?
Mai! Gli occhi di miss Edith verso di lui erano opachi come occhi di donna cieca.
E quando la sentiva ridere così, la malediceva dicendo: «Ah potesse venire anche per te l’ora tenebrosa!»
— Ah, Nicce! Nicce! Nicce! — suonava in ritmo dionisìaco la voce di miss Edith.
Aquilino odiava quel Nietzsche senza conoscerlo; e quanto al flirt, si sentiva capace di un apostolato contro questo inverecondo giuoco dell’amore.
Però come era elegante miss Edith, come adorabile nella sua semplicità.