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lante che la gente si volta a guardare. Ma lei ride finchè ha finito. Quando ha finito, mi dice:

— Il Comune? Il Comune socialista qui di P***? Se potesse, mi darebbe lo sfratto. Dica, dica lei, Cioccolani.

— La fine di Giovanna d’Arco — dice il poeta.

Je m’en fiche — dice la contessina.

La contessa madre, che ha inteso rumore, si fa tradurre all’orecchio il mio madrigale, e lo trova molto appropriato. Mi vuole far sapere personalmente che nell’evo-medio i suoi antenati camminavano per le strade di P*** come su di un proprio feudo.

*

Ci soffermiamo alla solita pasticceria. La vecchia prende un mélange con molto latte, perchè con molta cioccolata, perchè con molto zucchero, perchè con molte paste. La contessina prende un tè molto frappé: il poeta solo del gelo, cioè un gelato.

(Io mi sono servito qualche volta di un poeta per fare versi per le mie réclames. Era un uomo spettrale, che beveva liquidi inflammabili. D’altronde è notorio che i poeti si nutrono di eccitanti).