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il romanzo della guerra 31

neta. La buona gente ragiona ancora con soddisfazione dei fatti del giugno, della rivoluzion, com’essi la chiamano. Si odono parole grosse; ma non bisogna darci troppo peso. È il dialetto romagnolo che è di natura iperbolico. Qualcuno, un po’ più scalmanato, mi consulta sul modo più semplice di abolire i signori, e mi fissa con intenzione.

Non è cosa semplice, abolire i signori, per la ragione che si formano di per sè: rinascono.

Del resto Bellaria è un’oasi tranquilla in Romagna: la gente vi è mite e gentile. Chi a Bellaria non possiede la sua casetta? la sua barca? il suo arenile? la sua bottega?

Io ci vengo qui da tanti anni e mi pare di goderci una certa reputazione. Non credo, però, che sappiano precisamente quale è il mio mestiere. Dire: scrivo è poca cosa. Quasi tutti sanno fare a scrivere. Dire, artista, sarebbe presunzione, e poi non sarei inteso.

Artista è chi fa cose strabilianti che altri non sa fare. Per esempio, tenore, baritono. Ma costoro sono gente qualificata: hanno ville grandi, automobili, e non trattano col popolo familiarmente. Ecco:

professore! Ma di che cosa? Mi presentano talvolta questioni di rettifiche di confini, di numeri mappali. Una bella sposina, che ha già sei figliuoli, mi chiamò in disparte per sapere da me come evitare il settimo figlio. Io feci un minuzioso questionario: dopo di che la persuasi che,