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8 | il romanzo della guerra |
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Io questi ragionamenti li sento ancor vivi all’orecchio. E chi non li ha sentiti?
Per mio conto devo pur dire come in me — per quanto tutti i gigli e le rose della fede nel buon divenire umano sieno divenuti fieno e stabbio, era come una inconsapevole sensazione che i geni dei vari popoli d’Europa fossero a tale grado di maturanza da potersi oramai equilibrare e compenetrare fra loro senza più ricorrere al giudizio di Dio o, meglio, del Diavolo, a quella assisi orribile che è la guerra. Perciò era naturale che togliessi la parola al mio bellicoso scolaro, come a dirgli: «Non faccia il letterato anche lei. Qui, al Politecnico, di letterati ce n’è uno, ed è di troppo!» Avevo lì i giornali del mattino, fra cui l'Avanti!, figlio cadetto del Vorwaerts. Glielo buttai sul banco dicendo piano: Ecco, caso mai, i nuovi carabinieri e pompieri pel suo incendio.
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Ora chi avrebbe pensato mai che dopo un mese — ma nemmeno! — ciò che era fantastico, sarebbe divenuto realtà?
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La macchina del pensiero però in quella mattina