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il romanzo della guerra 107

Siamo alla guerra anche noi? Ma questa parafrasi classica (Caveant consules ne respublica detrimentum capiat), non mi piace.

L’espressione solenne mi fa l’effetto che nasconda non so quale incertezza. Guerra all’Austria? all’alleata di ieri? Perchè? Per inimicizia? No! Per necessità. Scrive un nazionalista: «Voi sembrate prossimi alla liquidazione. Ci dispiace: ma prima che la presa di possesso delle terre italiche si compia per parte di altri, è necessario che le occupiamo noi».

È un po’ curialesco. Comunque, una sola cosa mi auguro, che non si avveri la profezia di Soffici — l’ho tanta paventata che mai osai formularla — andare in Albania a romperci le corna ancora contro Enver Bey.


19 Settembre. Sabato.

Papini elenca (Giornale del mattino) i vantaggi della guerra: «La guerra in grande c’insegna per lo meno che la vita degli individui oscuri acquista valore soltanto quand’è perduta per la vita dei popoli gloriosi».

Dottrine esoteriche... ed un po’ alle Nietzsche e, come concione di generale ai soldati, argomento non consigliabile; tanto più che non è esatto. È morto per la patria un giovane non oscuro, Carlo Péguy, autore di un bel libro sul Mistero di Giovanna d’Arco.