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sità e lo pregammo di parlare? Io ero fra quelli, signore!
Egli ben ricordava quel giorno e quei giorni del maggio 1915, quando l’Università fu chiusa e i giovani tumultuavano.
Egli, sino a quel tempo era vissuto in possesso del suo onesto pensiero, e ora riconosceva come in quel tempo egli si poteva chiamare felice. Credeva nei vari personaggi che avevano beneficato l’umanità. I loro ritratti e i loro volumi ornavano il suo studio. Li salutava mentalmente al mattino al modo stesso che il suo pappagallo dicea: «Beatus, buon giorno, Beatus!».
Anch’egli, benchè in piccolo, credeva di essere un benefattore dell’umanità. Il suo studio era frequentato da cari amici con cu faceva lunghe e piacevoli partite agli scacchi della filosofia; si misuravano gli stadi superati dall’umanità: mito, religione, ragione. Si facevano tornei cortesi sull’infinito se è cosciente o è incosciente; o su Loreto, se è un pappagallo perchè è effettivamente un pappagallo, o perchè piacque ai benefattori dell’umanità di chiamarlo pappagallo.
Non mancavano i ragionamenti se la rivo-